Pigalva e Train To Roots per la rivoluzione

17 maggio 2008  |  di Antonio Canu

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L’abbinamento musica-vino oggi è abbastanza diffuso ed è diventato di moda. Ma quando abbiamo iniziato a proporlo noi una decina di anni fa sulla edizione cartacea di Taribari era inedito o quasi. Soprattutto fatto come lo facevamo nella rubrica “Canzoni Ubriache”, rispettando con molto rigore il metodo AIS dell’abbinamento per contrasto, trattando cioè il disco esattamente come un piatto con le sue caratteristiche organolettiche e abbinandoci dunque il giusto vino. Vogliamo ripartire ora proprio con quella rubrica, ma allentando le maglie del rigore e abbinando dischi o canzoni con vini seguendo più l’affinità, le emozioni, l’istinto, quelli che mastro Piero chiama “riferimenti onirici”. L’intento ovviamente è sempre lo stesso: invitarvi ad ascoltare buona musica bevendo dell’ottimo vino.

L’occasione e la voglia di ripartire arriva da un disco in uscita in questi giorni: “Terra e Acqua” dei Train To Roots. Un disco che, nel suo essere una delle migliori produzioni roots reggae ascoltate da molto, moltissimo tempo a questa parte incorona la nostra isola come la mediterranean Jamaica e mostra, con un linguaggio internazionale che ostenta inconfondibili le impronte della sua identità, la nuova faccia della Sardegna al mondo.
Il primo posto all’Italian Reggae Contest del Rototom Sunsplash Festival nel 2006, l’Italian Award come una delle sette più promettenti band reggae italiane l’anno successivo, gli oltre 100 concerti in giro tra isola e continente e soprattutto il loro acerbo ma già bellissimo omonimo disco d’esordio avevano creato grandi aspettative per il “difficile secondo album” dei Train To Roots.
“Terra e Acqua” va al di là di ogni più rosea previsione. Un suono grasso, olioso, che sfonda lo sterno, grazie anche ad un’ottima incisione che rende onore al sound della band, ulteriormente lucidato dalla masterizzazione di Will Quinell ai leggendari Sterling Sound Studios di New York. La cultura del basso che spinge tematiche sociali e spirituali, cantate in inglese, sardo – nelle varianti logudorese e campidanese – e italiano, ma che sa come non dimenticare il divertimento: la quintessenza del reggae!

Un disco che riprende il discorso dove lo aveva lasciato “Brucia Lento”, un brano del loro primo disco che se fossero la giustizia e lo stile a regolare il mercato avrebbe sfasciato le classifiche, e lo porta alla massima potenza in brani come “Impari a mie”, “Fragu ‘e gherra” e “Piove da un pò”: se il movimento contro il G8 alla Maddalena era in cerca di una colonna sonora per cantare la sua gioia colorata e ribelle agli 8 mortuari messaggeri di Babilonoia e ai loro servi l’ha bella che trovata!

I brani originali di questa produzione sono di un tale livello e maturità, hanno un suono e un messaggio così potenti, la materia del conscious roots reggae di impronta 70′s, le spruzzate di lovers e le code dub vi sono padroneggiate con tale maestria che mettono in secondo piano le pur importanti collaborazioni con Sergent Garcia e Ranking Joe presenti in due brani. Un piatto di ital food che non si smetterebbe mai di mangiare, un cd che sarà difficile togliere dallo stereo per tutta l’estate e che scalderà i prossimi inverni quando, ne sono certo, guarderemo babilonia bruciare… ‘cos Babylon has no memory Babylon has no fruits. E se siete in Sardegna non perdetevi il concerto di presentazione di “Terra e Acqua” il 24 maggio a Sassari in piazza S. Caterina in chiusura del Festival Abbabula.
Ma veniamo all’abbinamento. Che non può che essere con un vino sardo che parla la stessa lingua del disco: epressione piena del suo territorio ma capace di piacere al mondo, già straordinariamente impetuoso con la sua freschezza ma che saprà crescere e crescere dandoci il meglio di sè nella tarda estate, ora apparentemente semplice ma che già mostra la trama fine di come evolverà nell’autunno e nel primo inverno, capace, come il disco dei TTR, di appagare il piacere immediato del corpo e la lenta riflessione della mente quando gli ascolti ripetuti sposeranno assaggi ripetuti. Così è il Pigalva 2007 il vermentino di usini della famiglia Cherchi, perchè è di lui che stiamo parlando, che già Piero vi aveva presentato quì su Taribari qualche tempo fa. Come di “Terra e Acqua” non si riesce a farne a meno. Il mio disco per l’estate e il mio vino per l’estate. Ne vorrei riempire una vasca, e immergermici dentro, e berlo con la bocca e coi pori, mentre le note dei Train To Roots, a palla, mi preparano alla festa e alla lotta. Selassie Blessings on you all.

4 Commenti a “Pigalva e Train To Roots per la rivoluzione”

  1. rastamà vaibrescion scrive:

    Non vedo l’ora di sentire il cd davanti a 1, 5, 10 bicchieri di Pigalva.
    Come spieghi questa giamaichizzazione della sardegna. Popolo di fulminati che cerca strade di stonatura più cool?

  2. Antonio Canu scrive:

    Caro Rastamà, secondo me stiamo solo trovando la nostra giusta collocazione di propagine dell’Africa nel mediterraneo del nord. Alcuni anni fa durante un mio soggiorno londinese un vecchio rasta immigrato jamaicano che mi scroccava birrette in un pub ripagandomi con la sua simpatia, sosteneva di conoscere benissimo la Sardegna attraverso i racconti di un suo amico, un tale Luigi, residente a Londra e cuoco di professione. Dalle descrizioni della nostra isola fattegli da questo tale si era fatto l’idea che la Sardegna fosse la Mediterranean Jameika (ho rubato a lui la citazione dell’articolo e non me ne vorrà viste le birrette che gli ho pagato). Credo che se saremo capaci di allontanarci dagli usi infernali della babilonia neoliberista rallentando e addolcendo ulteriormente i ritmi del nostro vivere potremo costruirci una nova e più gioiosa identità meticcia.

  3. sisterila scrive:

    positive vibrations kanu…. y….. jah contigo….

  4. antonio canu scrive:

    Grazie sistah! I n I a positive vibe. Jah blessin’ on you.

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