Strappi nell’anima: Alessio Bondì e il Rose’ di Pusole

1 settembre 2015  |  di Antonio Canu

Dopo un disco sardo abbinato ad un vino siciliano nella scorsa puntata di “Canzoni Ubriache”, il caldo, la stagione, le coincidenze astrali hanno voluto che un disco siciliano trovasse sulla sua strada un vino sardo per l’ideale abbinamento. Due novità assolute che si sono rivelate, e si riveleranno sempre più in futuro, due assoluti classici: “Sfardo”, esordio discografico del palermitano Alessio Bondì e il Rose’ 2014 dell’ogliastrino Roberto Pusole.

Il disco di Alessio Bondì è un piccolo, raffinato e straordinario gioiello. Un disco di pop di livello stellare vestito di musica e parole d’autore. Di quelli che la critica del futuro si affannerà ad incensare definendolo capolavoro “minore”, invitando alla riscoperta come oggi si fa con i dischi perduti del folk inglese e nordamericano.

Tutto cantato in siciliano – che si rivela ancora una volta lingua minoritaria di espressività universale, ricca di ritmo, di geniali, ironiche e feroci figure linguistiche e con la capacità di modificarsi e ibridarsi senza miti di purezza adattandosi alla perfezione a suoni e musiche “altre” – “Sfardo” è  interamente acustico, ad eccezione degli splendenti colori spruzzati qui e la da un piano elettrico e da un basso che occasionalmente sostituisce il contrabbasso. É suonato magnificamente sia dallo stesso Bondì, che oltre a cantare sfrega con grande abilità e classe corde di varia provenienza,  che da un altra decina di musicisti ai fiati, archi, percussioni, banjo e tres.

Il disco si apre con la saltellante “Di cu si”, filastrocca folkie che tutti i bambini monelli del mondo vorrebbero sentirsi cantare e piazza subito al secondo posto un brano che è già leggenda come la sua protagonista “Wild Rosalia”, cow-girl sicula senza pietà per i suoi spasimanti: uno spettacolare alt-country morriconiano che sembra cantato da Fred Buscaglione con i Calexico come backing band destinato a diventare un culto.

Ma tutto il disco è essenziale. Corto come quando i dischi stavano su un lato di una C-90 e non ci potevi sbattere dentro seconde scelte ed inutili riempitivi. Dieci brani e tutti belli, qualcuno bellissimo e un paio di capolavori.

“In funn’ o mare” e “Un pisci rintra a to’ panza”,sono due sognanti ed evocative ballad folk bagnate di acido, soul e psichedelia. “Rimmillu ru’ voti” è una struggente, dylaniana ninna nanna per adulti spaventati. “Vucciria” un funkone spaccaculo che se non balli sei morto o sei Giovanardi.
“Granni granni” parte che sembra scritta con il santino del Caetano Veloso più acustico e lieve sul comodino e si trasforma poi in una sarabanda di irish country che pare di risentire Mike Scott e la sua banda di zingari celtici dei tempi di Fisherman’s Blues.

“Sfardo”, title track e canzone d’amore dell’anno, inizia che sembra Cohen e diventa una jam tra il Jeff Buckley acerbo ed inarrivabile del Sin-é e il Mimmo Modugno degli esordi dialettali. Per “Iccati Sangu” dobbiamo scomodare un’altro Buckley, Tim. Almeno per i primi minuti del brano, phantasmagoria acustica e acida per voce, chitarra e percussioni. Poi si trasforma in una bomba funk latino col flauto in evidenza e lo spettro del Jay Kay più ispirato a ballare forsennato.

I testi sono tutti ben scritti, gli arrangiamenti perfetti e Bondì ha, oltre che una voce bellissima, una bellissima faccia di culo che fa simpatia. Comprate ‘sto cazzo di meraviglia e facciamone, come merita, il disco pop mediterraneo dell’anno.

In abbinamento, come dicevamo, il Rosè di Pusole 2014, rosato mediterraneo dell’anno. In verità mi manca da assaggiare quello di Gianfranco Manca di cui si dicono meraviglie ma, male male che vada, il Rosè di Pusole mi arriva al minimo secondo.

L’Azienda agricola Pusole ha sede nei comuni di Baunei e Lotzorai. Coltiva solo uve autoctone al 100% senza l’ausilio di vitigni internazionali. In vigna coltivano la terra con la movimentazione della stessa, non diserbano né inerbano, ma controllano le spontanee erbe locali con il pascolo di greggi di pecore. Niente irrigazione, niente chimica. Solo diradamento dei grappoli per controllare la generosità del Cannonau a vantaggio della qualità. Solforosa bassissima e risultati incredibili con il loro Cannonau che fin dal colore, scarico e gentile con splendidi riflessi dovuti all’ampio passaggio di luce in un vino che non è mai nero ne concentrato, parla una lingua insieme nuova e atichissima.

E ora questo meraviglioso Rose’ dal colore di un’ipnotico cerasuolo intenso che tende al chiaretto. Profuma di fiori e di mare. In bocca è insinuante di acidità e tannino ed ha una beva splendida, instancabile, sapida e gustosa. Come il disco di Bondì sembra semplice al primo assaggio. E semplice rimane anche quando se ne scopre la ricchezza, i mille segreti nascosti più in bocca che al naso. I vini in fondo bisogna berli, mica odorarli!

Si dice che Roberto abbia finito tutte le 3.000 bottiglie di quest’annata del suo Rose’. Magari da qualche parte lo trovate ancora. Se no aspettate l’anno prossimo: la musica di Alessio Bondì non invecchia e non stanca. E il prossimo Rose’ di Pusole sarà ancora, ne sono certo, una meraviglia.

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