VINI E VINILI: UN LIBRO DA BERE

20 maggio 2015  |  di Antonio Canu

Rimane qualcuno, qua e là, per il quale un disco è ancora quello che le tavole mantiche erano per un Corinzio o un Etrusco affacciati sull’orlo dell’abisso primordiale: la loro stessa essenza, il loro tremante destino” (Julio Cotázar).
Noi di Taribari siamo tra quei “qualcuno”. Sicuramente tra quelli c’è Maurizio Pratelli, critico musicale, animatore del blog Torno ai Vinili, appassionato ed esperto di vini naturali e autore di uno dei libri di culto dell’editoria musicale della passata stagione: “Vini e vinili, 33 giri di rosso”.

Ora che la mia copia di quel libro è stata letta e riletta, spiegazzata e riempita di orecchie, graffiata, annotata e sottolineata e, soprattutto, usata – ché questo è un libro soprattutto da “usare” – ho deciso, buon ultimo e dopo recensori ben più prestigiosi, di parlarvene.

Ho detto che “Vini e vinili” è stato un caso editoriale tra i libri di argomento musicale solo perché è in quel settore che lo trovavate e lo troverete nelle librerie. In realtà è molto altro e molto di più. Apparentemente l’idea dell’autore era quella di associare 33 dischi – prevalentemente in vinile – ad altrettanti vini rossi. Un’idea che detta così potrebbe apparire, seppur ancora poco indagata nel modo in cui lo fa Pratelli, non originalissima. In fondo l’abbinamento musica-vino lo facevamo su Taribari fin dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso sull’edizione cartacea della rivista e lo facciamo ancora oggi su questo blog.

In realtà a leggere il libro attentamente ciò che emerge è una visione rivoluzionaria, non tanto e non solo del senso di fare e ascoltare musica, ma di un modo nuovo e diverso,  moderno ed antichissimo, di fare il vino e più in generale fare gli agricoltori resistendo alle regole di un mercato tossico, dell’agroindustria e della globalizzazione.

Un modo dove il rispetto della terra, della natura, dei cicli naturali, degli equilibri in vigna, delle annate, della salute si concretizza in vini entusiasmanti, veri, digeribili, succosi. Vini dalla “beva compulsiva”  come dicono gli amici di Vinoir l’enoteca milanese fuori dagli schemi dove chi non può girare tutta l’Italia alla ricerca di questi vini può trovarli tutti, insieme a molti altri e all’ospitalità, la passione, la competenza e la coinvolgente capacità di raccontarveli del patron Gianluca Ladu.

In Vini e vinili, tutto ciò è raccontato con profondità, ma in maniera lieve e gioiosa, senza predicozzi o catechismi. Sono semplicemente le storie, splendidamente raccontate da Maurizio, a darci il senso di quanto dicevo. Storie di persone meravigliose che non possono che fare vini meravigliosi che l’autore ha assaggiato con i produttori da Aosta a Sorso, dal piano padano alle falde dell’Etna.

Anche i dischi in questo libro ovviamente contano: qualche contemporaneo mainstream di qualità, un po’ di grandi classici del passato sia noti che scelti tra i meno gettonati nelle “guide rock” e un bel po’ di contemporaneità underground prevalentemente (ma non solo) USA e prevalentemente (ma non solo) legata alle varie declinazioni e migliori espressioni del new traditionalism rock. <<Non è una classifica dei migliori dischi di sempre – dice l’autore – e nemmeno una raccolta dei miei album preferiti; più semplicemente una meditata selezione, del tutto personale, di alcune storie a 33 giri nate per morire in un bicchiere di rosso>>.

Tutti dischi bellissimi, tutti molto intensi e profondi, tutti raccontati, con emotiva e coinvolta competenza, in maniera seducente e affascinante da Maurizio Pratelli e tutti da me già conosciuti e, in molti casi, posseduti.

Diversa musica, è il caso di dire, per i 33 vini rossi: due li conoscevo solo di nome e solo quattro li avevo già assaggiati al momento di leggere il libro. E ciò a dispetto di circa venti anni di militanza in degustazioni, bevute, assaggi, fiere, cantine, aziende agricole, bettole, enoteche e wine bar.

Che vini sono, dunque, questi di cui parla Pratelli? Ce lo dice lui stesso: << i vini sono tutti di vignaioli che ancora credono nel “vino d’autore”, che se ne fregano delle mode, che amano ancora camminare sulla terra delle loro vigne senza mai dimenticare le antiche ricette della cultura contadina. Dei Tom Waits del vino, per intenderci. Che nemmeno sanno di questo libro: forse scopriranno solo ora di farne parte insieme alle splendide vicende delle loro famiglie di vignaioli>>.

Vignaioli ribelli, resistenti, veri e che rifiutano di perdere la loro identità. Contadini che rifiutano di accettare che la qualità del vino si stabilisca solo in base a disciplinari ed etichette o a vecchi ed usurati metodi di associazioni di degustatori. Agricoltori che rifiutano l’appiattimento globale sulle regole fatte ad uso e consumo dei grandi potentati produttivi, sulla moda dettata dal critico/enologo/mercante del momento. Contadini che danno senso e valore al dire di no allo schifo e alla bruttezza del “tutto tossicamente uguale e perfetto” che da tempo ha invaso anche il mondo del vino.

Ciò che Pratelli scrive raccontando di uno di questi vini – La Querciola di Massa Vecchia, Maremma Toscana – forse ci aiuta a capire di che parliamo: << (…) per fortuna c’è chi resiste convinto che le strade del buon vino siano altre; convinto che un vino non debba essere costruito ma cresciuto senza alterarne il carattere. A costo di essere anche poco elegante, lasciando, come in questo caso, che Sangiovese e Alicante non facciano mistero delle loro origini ferrose, quelle che madre natura gli ha donato tra le colline dell’alta Maremma>>.

Un libro bello, divertente ed indispensabile questo di Maurizio Pratelli, che ha avuto su di me l’effetto che ebbe anni fa il sacro evangelio “Krautrocksampler” del superdruido Julian Cope che mi spinse a dare la caccia a tutti i dischi di cui parlava. La caccia questa volta ha avuto come prede le bottiglie di cui parla Maurizio, e poi molte altre che inevitabilmente l’inestinguibile sete che i vini naturali generano mi ha fatto trovare. Una strada da cui non si torna indietro, un tunnel da cui non si esce più. Un viaggio che mi ha riconciliato con il vino dopo qualche tempo di disamore e allontanamento generato dalla merda, talvolta anche blasonata e costosa, che mi trovavo a bere.

Come dice Maurizio Pratelli: << incontrare un “vino vero” è un’esperienza dalla quale non si torna più indietro. Sarebbe come arrendersi a un cinepanettone dopo aver visto un film di Fellini oppure come se Serge Gainsbourg, dopo la sua storia d’amore con Jane Birkin, si fosse fidanzato con la Ferilli. Via, non si può >>.

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