Robba verde: De Grinpipol & Grasshopper cocktail.

12 maggio 2010  |  di Antonio Canu

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Narra la leggenda che all’inizio i cinque sballati uomini verdi che compongono la band sassarese De Grinpipol fossero una cover band dei Motorpsycho. E, se non fossero così pelosi, meriterebbero per questo baci in bocca, chè non è da tutti fare covers dei geniali pazzi di Trondheim.
E ora invece, dopo anni di intensa attività live e vari riconoscimenti in giro per il mondo musicale indipendente, ecco il loro secondo lavoro originale sulla lunga distanza. Basta un ascolto per affermare che se se ne fossero venuti fuori con questo cd da Williamsburg, NY sarebbero l’hype del momento. E magari anziché su Sassari 2.0 sarebbero sulle copertine di tutte le riviste musicali più alla moda come quei fighetti dei Vampire Weekend.
Ma forse è meglio così. Perché forse solo alla periferia dell’Impero un grande gruppo di rock’n’roll può mostrare maturità, sicurezza e autorevolezza nell’inglobare nella propria musica così tante influenze riuscendo però a produrre un proprio suono riconoscibile e inconfondibile. Impossibile insomma non esclamare sentendo un loro brano non ancora conosciuto: <<cazzo, ma questi sono i Grinpipol!>>. E non si può dire lo stesso di molti altri gruppi di questi tempi.
Eppure le influenze ci sono eccome. Sembra quasi che abbiano voluto dare la versione sporca e americana, da garage band della In The Red, di certa new-new wave britannica dalle parti dei Franz Ferdinand, Bloc Party & Co. E a volerli cercare ci si trovano anche i Pavement geniali e inarrivabili di “Slanted & Enchanted” e un bel po’ di altro indie ruvido del recente passato post Nirvana. E poi l’abilità di mantenere un’attitudine funky e groovy che ancheggia sotto la scorza punk come solo i Dirtbombs di Mick Collins sono stati capaci di fare negli ultimi tempi. Ma a fare la differenza è la straordinaria, elementare ma rara capacità dei Grinpipol di scrivere Canzoni. Belle, perfettamente costruite e ottimamanete arrangiate. E vediamole dunque.
L’attacco è fulminante: “It’s a choice of peace and pride” e “Mikidiale’s motel”, sparate, urlate e distorte vanno dritte al bersaglio e ci dicono cosa ci aspetta. E il bello deve arrivare: sono “Clap your hands like monkeys” e “Get this happines” a spaccare. La prima è un singolo perfetto e catchy come pochi. Se non vi dimenate cantandolo dopo pochi secondi vuol dire che siete morti. La seconda, con quel suo tz-tzstà/tz-tzstà sculettante e sexy di charleston e rullante e il falsetto alla Robert Smith fa molto Rapture, ma senza electro e con più rock; più ruvida e vera e senza quel sound da sfilata di modelle anoressiche dei newyorkesi. “No!” è una finta ballad che omaggia l’Iggy Pop più wave del periodo “New Values” e nella bellissima “Cloudy fullness” si sta ore a pensare a cosa assomigli quel giro di chitarra perfetto…mmm Neil Young?…muble muble…Stephen Stills?…no no eccolo: i Jayhawks del primo disco! Solo che quei boscaioli del midwest se lo sognano di essere fighi come i nostri omini verdi!
L’abbinamento ora: robba verde, senza dubbi. Me ne sono andato, mogio mogio cacchio cacchio, all’ H2O, l’american bar sassarese dove miscelano i due migliori barman della città e da Tore e Giorgio mi son fatto fare due Grasshopper (uno da ognuno dei due shakeratori) e li ho ingollati con De Grinpipol a palla nell’iPod. Risultato: felicità. Clap your hands motherfuckers!

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