“Soundwave”: il richiamo delle sirene di Omero

13 novembre 2014  |  di Fabio Piredda

Nella Grecia della mitologia omerica quella della sirena era una figura piuttosto ambigua. Incantatrice dalle melodie ammalianti e stratificate da un lato, e pericolosa tentatrice dall’altro… Siamo nella contea del Berkshire, altresì nota come Royal County of Berkshire a causa della presenza nei suoi confini della residenza reale di Windsor, nel sud orientale dell’Inghilterra. Il villaggio di Finchampstead è immerso in un verde che più inglese non si può e dista solo 53km dal centro di Londra. In questo minuscolo pezzo di Regno Unito sorge una delle più interessanti realtà brassicole dell’artigianato locale: la Siren Craft Brew. Si tratta di un birrificio tutto nuovo, attivo dal 2012 per volere di Darron Anley, un appassionato birrofilo coadiuvato dal talentuoso mastro birraio Ryan Witter-Merithew. Anley, personaggio spiritoso, eccentrico e dalla sensibile mania di grandezza, considera il suo birrificio frutto del richiamo delle stesse sirene dell’Odissea di cui egli secoli dopo si ritiene vittima. Racconta che la nascita delle 4 birre facenti parte della gamma Siren è da collocare verso la metà del 2010, anno in cui a suo dire si sentì colpito dalla missione di trasformare in birra la sua singolare ispirazione. Il dilemma sulla perfetta salute mentale di Anley venne definitivamente sciolto nel 2012, anno in cui aprì il suo birrificio col botto lanciando sul mercato una dopo l’altra birre di gran classe, dalla connotazione luppolata tanto identificativa quanto raffinata e ingentilita da una sorprendente bevibilità. Premi e riconoscimenti a profusione non fanno altro che suggellare un successo in costante ascesa, icona di un Regno Unito sempre più rigoglioso nella sua lenta, inesorabile e moderna crescita birraia.

“Soundwave”, volutamente tutto attaccato nel caso di questa birra, si traduce letteralmente “onda sonora”. Nel caso di questa birra a mio personalissimo avviso, il riferimento è più al “suono delle onde”, e quindi all’irresistibile e pericoloso richiamo delle sirene. Dopo un primo sguardo all’etichetta si nota che è di una sottile plastica adesiva trasparente con immagini e scritte in bianco, e applicata al vetro scuro, crea un bellissimo “effetto rilievo”, così da ingannare l’occhio e fargli apparire il profilo della testa della sirena in primo piano serigrafato direttamente sulla bottiglietta. Al momento di stappare ecco che le prime floreali avvisaglie olfattive emergono dal collo della bottiglia come eteree note dalla tromba di un grammofono. Nel calice a tulipano la birra color fieno si fa strada sormontata da un cappello di schiuma abbastanza denso ma di breve persistenza. Al naso si capisce subito che i luppoli la fanno da padroni. In principio una intensa nota urica curiosamente piacevole nella sua omogenea alternanza a freschissimi toni floreali di ginepro, pino e sambuco. Poi pian piano si fanno strada sentori aciduli di frutta gialla, in particolare uva e nespola, e agrumati di bergamotto e pompelmo giallo. Infine, fiori di luppolo. Freschi, umidi, verdi, profumatissimi. In bocca una carbonatazione vivace e un corpo leggero e una portata etilica (5,6% abv.) molto ben nascosta, fanno da tappeto a una inaspettata iniziale tendenza zuccherina di miele di erica, e fruttata di mango e pesca. Ma per il palato è solo un’illusione. Infatti immediatamente dopo viene tradito da una vigorosa cascata di astringenza agrumata, resinosa e amara che prima si impone impetuosa invadendo ogni singolo millimetro della bocca; poi si spegne lentamente prima di far strada a un altro sorso. Se fossimo in un rendez-vous fra ruvidi taglialegna in un vecchio spaccio delle Isole Orcadi, qualcuno solleverebbe la bottiglietta, la poserebbe sulla pancia da incallito bevitore, la guarderebbe e borbotterebbe qualcosa come “non è una birra per signorine…”. Tutto sommato un commento di questo tipo, pur nella sua insopportabile velatura sessista, non sarebbe poi così fuori luogo. Questa “west coast ipa” è una birra che non scherza. Una di quelle india pale ale in cui l’amabile bilanciamento e l’aspra “punizione” distano un solo passo. Anley e Witter-Merithew sono rispettivamente la mente e la mano che hanno dato vita a una birra la cui premessa, più che mai fuorviante nella sua sublime e apparentemente innocua essenza, si trasforma in una pericolosa Lolita da cui si dovrebbe stare alla larga. Il guaio è che la finale presa di coscienza, come per magia, viene puntualmente dimenticata all’inizio di un nuovo sorso…

1 Commento a ““Soundwave”: il richiamo delle sirene di Omero”

  1. gio scrive:

    Buonissima birra da gustare dopo aver letto le belle suggestioni del maestro birraio Piredda!

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