mamoiada, zibbo e i suoi fratelli

6 settembre 2016  |  di Piero Careddu

MAMOIADA E LA NUOVA GENERAZIONE DI VINI VERI

Non ho intenzione di rifilarvi il  pippone su Mamoiada e le maschere, il carnevale, la magia ancestrale ecc. ecc. ecc., anche se i vini mamoiadini, visto che di vino debbo scrivere, qualcosa di metafisico e incantato lo portano nella loro stessa natura. Ma aldilà di qualsiasi considerazione esoterica, una cosa è certa: questo piccolo paese abitato da poco meno di tremila esseri umani, al centro di una Barbagia sempre più globalizzata,  diventa anno dopo anno il punto di riferimento per chi è interessato ad un’enogastronomia che metta territorio, rispetto dell’ambiente e salute al centro della propria progettualità. Non so quali siano  i rapporti tra produttori locali e se esiste una visione comune concordata ma, agli occhi dell’osservatore esterno, sembrerebbe che a quella latitudine abbiano capito che il futuro è ben altro che scimmiottare la Toscana, è ben altro che il solo marketing e che la qualità, intesa come rinuncia a certe scorciatoie, non deve andare necessariamente sottobraccio con business e ricerca ossessiva del profitto. Oggi in Sardegna la pattuglia di produttori, quelli che hanno scelto di lasciarsi alle spalle certe pratiche agricole ed enologiche aberranti, cresce sempre di più ma in nessun comune come Mamoiada è presente una concentrazione di vignerons così attenti all’ambiente e alla salute dei propri clienti. Il mio entrare in contatto con Zibbo e la famiglia Canneddu è stato casuale. L’azienda è commercialmente giovane  e neanch’io, che seguo con attenzione le vicende dei produttori “diversi” della mia terra, ero a conoscenza della loro esistenza. E’ stato tramite un amico di Dorgali che ho conosciuto Grazia Canneddu, sorella di Marco, che con entusiasmo toccante mi ha parlato del loro vino e della loro filosofia produttiva. Due ettari di vigneto, prevalentemente piante di cannonau tra i 60/70 anni, allevate ad alberello e senza il minimo intervento di trattamenti con prodotti chimici di sintesi. Al massimo due mani, ma molto spesso solo una, di zolfo ramato in polvere all’anno. C’è da dire che la posizione particolarmente felice dei vigneti e un microclima eccezionale rende tutto molto più semplice e tiene alla larga da qualsiasi tentazione. Rese molto basse, oscillanti tra i trenta/quaranta quintali per ettaro, regalano delle uve sanissime che arrivano in cantina per la fermentazione spontanea con l’aiuto dei soli lieviti selvaggi presenti sul frutto. Nessuna filtrazione e maturazione in tonneaux di rovere rigenerato da 500 litri. Marco è, in stretta collaborazione con il “patriarca” e fondatore Tonino, il wine-maker che segue personalmente tutto il ciclo produttivo. Così si è arrivati a Zibbo 2015. Poco più di un bambino ma, se naso e bocca non hanno deciso di ingannarmi, con un futuro a dir poco radioso. Questo è quello che mi ha dato la degustazione effettuata in Cala Gonone, il 28 Agosto scorso alle 23,45.

ZIBBO 2015 – Cannonau di Sardegna – Cantina Marco Canneddu, Mamoiada (Nu).

Se è vero che l’aspetto/colore è lo specchio dell’anima di un vino mi sono trovato davanti ad un qualcosa che ha espresso solidità già nello sgorgare dalla bottiglia e nel colare, con canto sicuro, nelle pareti del bicchiere. I cromatismi cangianti variano tra un granato lucido di media densità e  vividi riflessi rossi. Il naso è quello discreto e signorile di un vino che non ha subito (mal)trattamenti e forzature in cantina. Nessuna puzzetta iniziale, spesso fisiologica in questa categoria di vini, ma un lento e regolare sviluppo olfattivo grazie al contatto con l’ossigeno. Essendo ancora così giovane, è il frutto quello che emerge con decisione ma, a dispetto dell’età, non è frutto pungente e fragoloso ma semmai melograno e ribes a un passo dalla confettura. Le garbate note balsamiche di eucalipto e geranio intervengono a bilanciare un bouquet prevalentemente vegetale con timide suggestioni speziate che iniziano a fare capolino. In bocca esprime personalità dirompente. Si aggrappa da subito al palato creando sensazioni di morbida lana lavorata. La grassa sinuosità dei sedici gradi alcoolici  è tenuta a bada da un’importante spalla acida che sarà determinante per gli sviluppi dei prossimi anni. Tannini presenti senza arroganza danno il contributo finale all’equilibrio di un vino già pronto per importanti bevute ma che al momento sta esprimendo, forse, il trentapercento delle proprie potenzialità. In fase retrolfattiva il frutto si ripropone in tutta la sua forza e con una pericolosa assenza di quella sensazione troppo morbida  che ti fa dire basta. Vuoi berne ancora ma non è vino con cui eccedere (a meno che non ci si ritrovi in una situazione di assoluto relax e un letto a pochi passi…)

In questo momento lo vedo a tavola con paste fresche della tradizione locale condite con sughi dal sapore deciso. Per chi le ama con grigliate di carne bovina. Zuppe di pesce con punte di piccante anche spinte. Formaggi caprini semistagionati.

,

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di mille battute.


caratteri disponibili


ALTRI ARTICOLI