SMOKING E MUTANDE SPORCHE ( E LA TALEBANERIA)

22 febbraio 2016  |  di Piero Careddu

PER CHIARIRE E CHIUDERE DEFINITIVAMENTE (O ANCHE NO) LA POLEMICA SUL CONFORMISMO DEL MONDO DELL’ENOGASTRONOMIA.

Vorrei, anzi devo, tornare sul famigerato articolo “Sommelier, declino o rinascita”, che tanto scalpore e reazioni scomposte ha provocato. Lo scrivo facendo un bel respirone e provando a capire se sono io che non mi so spiegare o se certa ottusità dilagante, annebbia le menti a tal punto da provocare manie di persecuzione. 

- non si è mai trattato di un attacco ad un’associazione in particolare delle 5/6 esistenti “sul mercato”. Direi che non si trattava affatto di un attacco ma semmai di una serie di considerazioni su  un modo di concepire il vino, la sua comunicazione e il rapporto con la realtà, a mio parere obsoleto. Ad ulteriore tranquillità di chi mi pensa anti-qualcuno, preciso che questa mentalità è comune a tutte, proprio tutte, le associazioni.  Io non attacco, non sparo bordate nel vuoto ma semmai provo a dare il mio contributo al miglioramento di una figura professionale che, partendo dal prendersi un po’ meno sul serio, dovrebbe riflettere sul proprio futuro.

- La querelle vino naturale/vino convenzionale non è una questione di tifo calcistico. Non ci stiamo schierando con la Juve o con l’Inter. Qui si conversa, cari amici, di  questioni di futuro del pianeta. E non si tratta di integralismo religioso: i talebani combattono per una società oscurantista e medievale che puzza di morte: noi siamo per il triofo della vita, pertanto è talebano chi pratica la conservazione ed è chiuso al cambiamento.  Qui si parla dell’eredità che lasceremo ai nostri figli e nipoti. Si parla di politica e di salute pubblica. Preferisco un tecnico dell’enogastronomia, qualunque sia il suo ruolo, che mi dice in maniera nuda e cruda: ” Il vino e’ business, il vino è uno dei tanti segmenti di un mercato. Dal vino bisogna fare soldi e per fare soldi la poesia va lasciata da parte”. Questa filosofia, per quel che mi riguarda aberrante, la preferisco mille volte a certi discorsi farisei del tipo: “C’è spazio per entrambe le tendenze. E’ giusto che il consumatore possa scegliere fra tante opzioni”.  Questa tesi potrebbe andare quasi bene se al consumatore fosse data la possibilità di conoscere tutti gli ingredienti contenuti in una bottiglia di vino.  Chiedetevi amici sommeliers, enotecari, ristoratori perché, quando si parla di una nuova legge che obblighi a dichiarare il contenuto del vino in etichetta, tutti continuano a fare i sordi se non, spesso, diventare isterici? Che  sia forse arrivato il momento di smetterla di far roteare i bicchieri nel nulla, cimentandosi in ridicole gare alla ricerca di profumi finti, per impegnarsi finalmente in una battaglia perché il vino torni ad essere veramente veicolo di storia, identità e salute? Il mondo dell’enogastronomia è ancora troppo pieno di persone che vanno in giro con lo smoking dimenticando di cambiarsi le mutande  (trattasi naturalmente di metafora…  meglio precisare!)

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