Bastha cu li franzesi

24 gennaio 2008  |  di Antonio Canu

Cavolo

Ho sempre pensato che nella ristorazione e, soprattutto, nella grande ristorazione la tecnica, l’inventiva, l’ardita sperimentazione – quandanche di livello eccelso – dovessero essere sempre un mezzo, mai un fine. Lo scopo del ristoratore, insomma, dovrebbe essere raggiungere con i suoi piatti la propria e l’altrui soddisfazione. Un grande ristoratore dovrebbe essere un buon amante che ha cura del partner e – esattamente come nel sesso – proprio nel darlo procura a se stesso godimento.
La ristorazione sassarese mi pare invece, da un po’ di tempo e con rarissime eccezioni, intenta a improduttive pratiche masturbatorie nelle quali alcuni pretesi grandi ristoratori usano la loro tecnica, la poca inventiva e accostamenti spesso improbabili e stridenti che scambiano per sperimentazione come il fine del loro lavoro. Il tutto per un malinteso concetto di alta cucina visto da qualche parte e riproposto mal digerito.
Il cuoco che crea un piatto dovrebbe avere molto dell’artista. Farsi travolgere dall’ispirazione al cui servizio mettere le doti di cui parlavo in apertura lavorando duramente per realizzare la sua opera, come un pittore, come uno scrittore. Inspiration and perspiration.
Mi viene in mente, ad esempio, uno dei più perfetti incontri/scontri di sapori in cui mi sia mai imbattuto: una marmellata di sedano abbinata ad un pezzo di ovinfort, il noto erborinato sardo. Semplicità assoluta e devastante complessità della percezione: “Autobahn” dei Kraftwerk su un piatto! Cosa aveva spinto quello chef a realizzare nella sua cucina quella marmellata (perfetta nel colore, nella consistenza, nel dosaggio degli ingredienti) e ad accostarla a quel formaggio? Semplice: un giorno, mentre terminava di mangiare le ultime scaglie dell’erborinato rimaste nel suo piatto, istintivamente si era aiutato nel raccoglierle oltre che col dito con un pezzo di sedano rimasto lì accanto. Che differenza rispetto alla consueta marmellatizzazione e mostardizzazione nel servizio dei formaggi a cui ci sottopongono in tanti ristoranti! Per non parlare di ben altri, insinceri e non inspirati tentativi di imitazione.
Proprio la scorsa settimana ho assistito ad un divertente siparietto tra due ristoratori locali. Uno riconosceva all’altro le sue capacità, il suo essere stato il primo in città a proporre una cucina diversa, innovativa, inedita con la quale aveva dato una scossa tanti anni fa alla arrugginita ristorazione cittadina. «A lu sai ca l’è lu problema – aggiungeva ancora nel salutare – è chi tutti ganti t’ani cupiaddu e si so poshti a fa li franzesi. E no poi andà più a magnà a loggu! Bashta cu li franzesi no si ni bò più». L’altro ristoratore, dopo i saluti, ha detto che – giudizio un po’ tranchant del collega a parte – le cose forse stanno proprio così. E che non vede l’ora di mettere su una bella trattoria, di quelle vere, come qui non ce ne sono mai state. Con sudore e ispirazione.

1 Commento a “Bastha cu li franzesi”

  1. caballero scrive:

    ciao antonio, mancavi tu e la coppia dei matti è completa…..

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