Beer, Sodomy & the Lash

2 dicembre 2009  |  di Antonio Canu

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Vi giuro che non sono sul libro paga della Brew Dog e non ho neanche ancora comprato la mia quota nella campagna di azionariato popolare che la originale birreria di Frasenburg, Aberdeenshire, Scozia ha recentemente lanciato. Lo dico perchè ho già abbondantemente parlato delle loro “birre per punk” nel mio ultimo articolo birrofilo e oggi sono costretto dalla loro ultima meravigliosa creazione brassicola a riparlarne. James Watt e Martin Dickie, proprietari della Brew Dog, sono due pazzi fottuti ma anche due geniali mastri birrai. E se qualcuno ha ancora dei dubbi non ha che da affrettarsi a cacciare 15 euro per aggiudicarsi una bottiglia della limitatissima produzione della nuova Atlantic IPA la loro nuova birra con cui hanno provato, riuscendoci, a riportare la Indian Pale Ale back to its roots. Quando la birra prodotta in Gran Bretagna doveva viaggiare via mare in botti di quercia per raggiungere l’India e gli inglesi di stanza in quella colonia, i mastri birrai dell’epoca, ben conoscendo le qualità antisettiche e conservanti del lupolo e dell’alcol, caricavano la birra durante la lavorazione di questi due elementi perchè potesse affrontare con i minori danni possibili il lungo viaggio in nave tra mari in tempesta e grandi sbalzi di temperatura a cui il prezioso liquido sarebbe stato sottoposto in un viaggio privo di refrigerazione. Martin e James avevano già scoperto da tempo un’ ultracentenaria ricetta per produrre le loro Punk e Harcore IPA strappando questa tipologia di birra, vera e propria gloria britannica, al decadimento a cui anonime IPA da supermercato da meno di 4 gradi l’avevano portata. Mancavano solo gli effetti del viaggio in nave per avere una birra di questa tipologia il più possibile simile a come la bevevano gli inglesi d’India. Ecco dunque la folle idea: caricare 8 botti di rovere piene della loro birra sulla coperta di un peschereccio d’altura (di proprietà del padre di James) e spedirle in giro per i mari del Nord per due mesi a gennaio e febbraio di quest’anno sorvegliate per un intero mese dallo steso James ed esposte a mari in tempesta, neve, incontri con balene, cadute in mare di uno dei fusti. Mancavano solo i pirati e le piovre giganti per fare di questa avventura un film di genere fantastico (di cui in coda al’articolo trovate il link per un assaggio filmato). Imbottigliate al rientro dalla traversata ecco in commercio le poche bottiglie di questa icredibile birra “ship conditioned”, l’ Atlantic IPA di cui il mitico Fabio Pireda della Birroteca Hamelin di Sassari è riuscito a procurarmene due. Quelle che seguono sono le mie note di degustazione.

ATLANTIC IPAatlantic-ipa-bottiglia.jpg
gradazione alcolica 8%

Scorre nel bicchiere opalescente e oliosa sfoggiando un colore arancio e producendo una nuvola di schiuma piena e morbida ma poco persistente. Il naso è ampio, ricchissimo e complesso. Subito confettura artigianale di arance e vaniglia. Poi pane tostato, biscotto inglese e resina di pino. Il tutto avvolto da leggeri sentori affumicati e torbati. In bocca è watery e inizialmente scorre liscia e morbida. La carbonazione è quasi assente. Poi inizia a pungere con sentori amari di buccia d’arancia e una speziatura che ricorda lo zenzero. La luppolatura è straordinariamente aromatica e le presenti sensazioni tostate già colte al naso sono bilanciate dalla morbidezza del’alcool e forte e rum.jpgpiacevole è la sensazione di warming che invade il petto dopo la deglutizione. Ma ciò che più colpisce positivamente sono sensazioni che in altre birre si evidenziano come diffetti e che nell’Atlantic IPA sono invece segno distintivo di seducente originalità. Il dolce di caramello e english toffee e l’amaro del luppolo infatti anzichè integrarsi si scontrano maestosi come onde oceaniche sulla prua beccheggiante di una nave che le fende. Il salato che copre le labbra come sensazione finale, oltre a raccontare la storia di questa birra unica, ci dà l’illusione di essere sul ponte di quella nave a prendere sul viso le gocce vaporizzate di un mare in tempesta.
Classica e innovativa, figlia antica della tradizione e della storia senza mai perdere il sogghigno bastardo e la voglia di dissacrarle, marinaresca e migrante fin dal nome, non può che abbinarsi allo sfrontato folk-punk alcolico dei Pogues del classicissimo “Rum, Sodomy and the Lash”.

http://www.youtube.com/watch?v=3OMANabPU48

1 Commento a “Beer, Sodomy & the Lash”

  1. Fabio scrive:

    questo articolo è splendido. Mi sarebbe piaciuto tradurre con questo tipo di parole quello che penso della Atlantic IPA ma più in generale della Brewdog. Non è solo una birreria ma un nuovo modo di concepire, promuovere e rappresentare il concetto di “birra”. Trovo molto stimolante l’analisi del momento birraio in cui nasce un’idea come quella di Martin Dickie e James Watt. Da una parte la crescita devastante della produzione americana, il mostro che avanza. Dall’altra un’Europa della birra incapace di “fantasticare”. In mezzo la Scozia, terra tutta speciale in cui l’anarchia è ancora un grande valore. Martin e James hanno raccolto e rielaborato il messaggio statunitense dell’abbattimento del muro della “funzionalità”. Hanno fatto da pionieri nell’estremizzazione dell’utilizzo dell’alcool, dell’amaro e del complesso nella birra fregandosene del fatto che qualcuno prima o poi l’avrebbe bevuta. In breve non hanno subito il mercato; lo hanno fatto. E io li amo per questo

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