Ott “Edel Pils”: ma quanto meravigliosa può essere la semplicità?

12 gennaio 2015  |  di Fabio Piredda

Se fermassimo una qualsiasi persona per strada e le domandassimo quale paese le verrebbe in mente se parlassimo di birra, molto probabilmente quella persona risponderebbe “la Germania”. Se da un lato eventi di massa quali l’Oktoberfest hanno creato nell’immaginario collettivo l’idea piuttosto superficiale che la Germania sia la patria mondiale della birra, dall’altro dobbiamo rendere merito ai tedeschi di aver sempre saputo fare di quest’ultima un imprescindibile elemento legato all’immagine della loro terra nel mondo. Fra gli intenditori e gli addetti ai lavori questo amore sconfinato per l’arte birraia teutonica è decisamente più freddo, non fosse altro per il  solo fatto che la gran parte della produzione locale sia incentrata su stili di facilissima beva e quasi sempre facilitati nella loro esportazione dal legame coi grandi gruppi industriali. Il fatto che più del 90% della birra tedesca importata in Italia sia pastorizzato e che più del 90% delle birre presenti negli scaffali della Grande Distribuzione provenga dalla Germania sono dati che la dicono lunga circa la fortissima propensione nel nostro paese a confondere la quantità di etichette prodotte in Germania con la qualità delle stesse birre nelle loro versioni imbottigliate. Il versante artigianale è come sempre un capitolo a parte e in quanto a “appeal” possiamo dire con assoluta certezza che la Germania dagli intenditori viene senza dubbio dopo Belgio, Regno Unito, Usa, Scandinavia e Italia. Le cause che portano a questo risultato sono fondamentalmente due. In primis la mentalità teutonica, storicamente identificata nelle sue eccellenze tradizionali, pone queste ultime sul mercato nella maniera più pragmatica, con etichette minimali, spesso del tutto anonime e quasi mai elemento di attrazione per i consumatori, e bottiglie col vetro ormai consumato da anni e anni di vuoto a rendere, tipologia di commercio che in Germania è praticata da sempre con grandissima convinzione. In secondo luogo la tendenza conservatrice, stabilizzata in modo rigido sulla materia prima locale, toglie al mercato tedesco quelle impennate di estro brassicolo a cui ci hanno abituato i birrai di mezzo mondo, mantenendo il livello produttivo piuttosto appiattito su stili di facile beva, bene eseguiti ma poveri di picchi di “follia”. Per farla breve, per i tedeschi non ha alcuna importanza ciò in cui la loro birra è contenuta. A loro interessa solo che sia ben fatta, facile da bere e venduta a prezzi di mercato ragionevoli. Se escludiamo piccole e circoscritte realtà come la “Braufactum” di Francoforte e o la “Gänstaller” di Hallerndorf, sembra il mondo della birra artigianale mondiale e quello della birra artigianale tedesca siano due entità ben distinte che si ignorano a vicenda. La produzione teutonica è chiusa nelle sue idee, imprescindibilmente legata alle sue tradizioni e per nulla esposta alle contaminazioni della globalizzazione; nel bene e nel male. Di questa patologica coerenza birraia è splendidamente malata anche la Brauerei Gasthof Ott, una piccola birreria a conduzione familiare situata nel minuscolo comune di Heiligenstadt, nell’Alta Franconia, proprio nel cuore della Baviera. La birreria occupa una parte della struttura. L’altra accoglie i visitatori offrendo loro tutta l’ospitalità bavarese dentro una storica Gasthaus (nella foto) in cui si possono gustare le birre di casa in abbinamento a piatti tipici. Il tutto appartenente alla famiglia Ott da oltre 300 anni e portato avanti con tradizione, spiccato senso di appartenenza, e naturale vocazione alla elevata qualità

La bottiglia da 50cl riporta la data dalla quale è certificata la produzione di birra all’interno del birrificio, cioè l’anno 1678. Più in basso una foto della splendida valle di Oberleinleiter sopra il fiume Leinleitertal. Ai lati gli ingredienti, che nel rispetto del celebre Editto della Purezza del 1516 (Reinheitsgebot), sono unicamente acqua, malto d’orzo e luppolo; la gradazione alcolica (4,9% abv); e la scadenza del lotto. Il tutto a comporre un packaging per nulla elegante e unicamente votato alla funzionalità e alle informazioni di servizio per il consumatore. Versando la birra nel bicchiere conico si può facilmente notare come ciò che sta dentro la bottiglia sia decisamente più interessante di quello che c’è fuori. Un colore giallo paglierino a dir poco meraviglioso sormontato da una schiuma esigua ma inizialmente ben compatta che velocemente si dissolve lasciando degli strascichi ai bordi del bicchiere. Al naso sa di miele millefiori, cereali e erba fresca, con una lieve tendenza aspro-dolce che ricorda il cedro candito. In bocca scorre che è un piacere. Freschissima e dissetante, con un corpo esile e una sensibile vena erbacea di luppolo fresco che, complice anche una scarsa carbonatazione, invoglia a sorseggiare ancora e ancora. La chiusura è pulita, con il palato che viene lasciato libero di affrontare la presenza di qualcosa di succulento quasi anche grazie alla consapevolezza psicologica che un altro sorso riporterà tutto come prima. Una pilsner tedesca di quelle decisamente ben fatte. Ottima per combattere le calde giornate estive ma particolarmente versatile anche in sede di abbinamento gastronomico. Gli abbinamenti più classici (salumi, formaggi morbidi, insalate ricche, carni alla brace) sarebbero senza dubbio i più validi, ma volendo provare qualcosa di più vicino a noi sardi e decisamente più stimolante, straconsiglio l’accostamento a della buona zuppa gallurese. Quando la semplicità e l’intelligenza trovano casa dentro una bottiglia da mezzo litro…

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