Quella strana voglia di trattoria

29 maggio 2008  |  di Piero Careddu

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Succede nella vita di un cuoco della provincia più provincia, che una mattina si sveglia e decide che la pellicola della sua vita professionale va girata daccapo. La prima cosa che fa è iniziare ad osservare il suo mondo con un attenzione che non aveva avuto fino a quel momento. Si accorge subito che la ristorazione ruota intorno a due, per usare un termine anni 70, opposti estremismi, uno più brutto dell’altro: da una parte un oceano di ristoranti, pizzerie, agriturismo gestiti all’insegna di una routinaria sciatteria e di solito destinati a torme di turisti o utenti stanziali interessati più a risparmiare i 10 euro che a mangiare bene; dall’altra la sedicente Grande Ristorazione: cucina leccata, servizio stucchevole, locale esteticamente opulento e irritante, presentazione del piatto patinata, carte dei vini faraoniche e decontestualizzate, conto finale da tesi di laurea in psichiatria; il comune denominatore che unisce queste due diverse opzioni è la totale assenza di cuore e di collegamento alla realtà e ad una smarrita dimensione dello stare a tavola fatta di convivialità, sogno, racconto, ricordo e, in una parola, emozione del sapore.
Il risultato è che la gente “normale” si allontana progressivamente da una ristorazione sempre più finta, sia essa quella dei 35 euro con materie prime di pessimo livello, sia quella elitaria e inaccessibile al consumatore comune per i costi folli e per l’assoluto squilibrio tra il prezzo e la qualità.
E POSSIBILE OFFRIRE LA GRANDE CUCINA A TUTTI E A PREZZI UMANI?
Antonio Canu, mio complice in questo spazio culturale, ci parlò tempo fa di qualcosa di nuovo che succede a Parigi ( Ristoranti nel Mondo/ Parigi – La rivoluzione dei bistronomiques 7 Marzo 2008): grandi chef con brillanti esperienze professionali alle spalle che aprono dei locali alternativi nei quali, grazie ad ambiente e servizio informali, si riesce a mangiare la grande cucina delle materie prime e della creatività a prezzi accessibili anche a chi in ristorante non ci arriva con la Bentley. Grande Cucina stavolta intesa come ricerca di sapori autentici, espressione di evoluzione culturale ma, soprattutto, senza l’ossessione di voler stupire a tutti i costi il commensale, psicosi che affligge la stragrande maggioranza dei grandi nomi dell’attuale scenario della Cucina Mondiale pluristellata.
In Italia la grande assente, fagocitata dagli equivoci di una sottocultura diffusa dell’antialimentazione, è la Trattoria: quel locale pulito, luminoso, apparecchiato in maniera spartana ma con una sua eleganza fatta anche di un mazzetto di veri gerani in un tumbler basso; dove il menù veniva “cantato” a voce ed era fatto di sapori da mamma, di piatti veri anche pesanti ma che nessuno a casa faceva più. Chi prova a riproporla oggi, salvo qualche sparuta eccezione, lo fa trascinadosi dietro aberranti equazioni del tipo trattoria uguale servizio scortese e approssimativo, uguale prezzi bassi ma materie prime scadenti per “starci dentro”, uguale pulizia approssimativa…
E’ POSSIBILE UNA RIFONDAZIONE DELLA TRATTORIA E LA NASCITA DI UNA CORRENTE DI CUCINA NEOTRADIZIONALE.
E’ auspicabile un ritorno alla Trattoria come luogo di sorriso e convivialità, come pretesto per staccarsi da ansie e telefonini invadenti, come riacquisizione di una dimensione di cucina tradizionale non statica: la nascita della Cucina Neotradizionale, una gastronomia che mantenendo vivo il legame col territorio e ai piatti della memoria, si autorigenera proprio a partire dalla memoria storica individuale e collettiva. Nelle mie lezioni di cucina e vino racconto sempre ai miei allievi che la Seada, per esempio, non è qualcosa di esistente dagli albori del mondo; qualcuno/a evidentemente un bel giorno ha preso della farina, l’ha impastata con dello strutto, l’ha riempita di formaggio e limone e l’ha buttata in olio bollente: ecco nata la seadas. Ho il fondato sospetto che l’inventore/trice della Seada, allora, fosse considerato un innovatore se non un pazzo: però questo piatto è riuscito a diventare una bandiera della nostra cultura culinaria…. E’ questo il senso di far rinascere la cucina tradizionale, per riportare la gestualità dello stare a tavola a una dimensione che non può avere niente a che fare con le tendenze, con le griffe, con la globalizzazione.
IL CUOCO E’ ARTIGIANO E NON ARTISTA, OSSERVATORE E NON MAESTRO.
Mi raccontava un amico siciliano che, recatosi nel ristorante di un celebratissimo Chèf della sua regione e suo conoscente, si senti rispondere da un collaboratore, alla sua richiesta di poterlo salutare: “ Mi dispiace ma il Maestro oggi è fuori sede”. Il Maestro….. Oddio!
Che i cuochi tornino in cucina a cazziare i loro commis, a passeggiare nell’orto a cercare erbe, che riprendano a rigirarsi insonni nel letto pensando a nuove combinazioni di sapori, che escano solo a cercare nuovi formaggi, nuovi vini, nuovi artigiani… Basta con le star patinate, basta con l’ansia da Guida e da Stella, basta con le comparsate, basta… Cucina Bella ed Emozionante per Tutti.
Io presto sarò in prima fila…

8 Commenti a “Quella strana voglia di trattoria”

  1. Presenza morena scrive:

    …..E’ POSSIBILE UNA RIFONDAZIONE DELLA TRATTORIA E LA NASCITA DI UNA CORRENTE DI CUCINA NEOTRADIZIONALE…..

    … e che tornino ad essere, come forse sono stati ai tempi della loro nascita, punto d’incontro degli amici /clienti senza vincoli né pregiudizi, posti accoglienti per continuare ad apprezzare la cucina semplice (e buona) assieme. Qualcuna nella vasta penisola ne è rimasta (ma i cuochi o le cuoche sono delle persone anonime) come quella del borghetto medievale nella provincia di Roma dove arrivai affamata all’ora di pranzo e mi diedero gradevole ospitalità le due persone tutto fare del locale per propormi il succinto menu: fettuccine ai funghi Porcini e tagliatelle Cacio e Pepe, polenta con spuntature e salsicce, e di secondo lo spezzatino di Cinghiale.

  2. gianluca ara scrive:

    Leggere questo tuo post e scorrere le righe fino alla fine e’ stato come rivedersi al tuo ristorante a parlare di semplicita’, di sapori, di convivialita’. Della citta’ che dorme, sconfitta ancora prima di perdere. E poi di idee.
    Intuisco le tue, e se l’immaginazione corrispondera’ anche solo in parte alla realta’, sara’ gia’ un grande successo.
    Ci ritroveremo presto, e ne riparleremo. Perche’ di stellette e lustrini o di pentoloni della Metro davvero non se ne ha piu’ voglia.
    Avanti, noi ci saremo!

  3. Marcello Madau scrive:

    Vedo il sito, mi emoziono, mi complimento con cari amici a lungo complici e per un po’ persino compagni di strada. Gli anni passano, i bimbi crescono, le barbe imbiancano; e ora, a ben rivederci, con la proposta della trattoria, che mi convince (e questo ‘neotradizionalismo’ che mi regala persino il brivido di sentirmi diversamente ‘neocon’!).
    Evviva all’idea della trattoria. Siccome dipendiamo molto dal cibo e dalla sua preparazione, essa, per sua cultura, è davvero possibile che sia in grado di regalarci uno spazio ora assente; di incidere su atteggiamenti normalmente non troppo conviviali, che si prolungano perciò in una tavola mediante la gioia della griffe, la moda della tradizione come tendenza-target, l’occhio complice, o la fuga compensatoria nel cibo a volte un po’ dannunziana. E penso golosamente che la trattoria riuscirà se i suoi piatti ci permetteranno di stare bene assieme a parlare d’altro più ancora che di cibi.

  4. el zorro scrive:

    Ciao Piero….
    comprendo benissimo il tuo discorso….ma le mie equazioni sono diverse..
    Trattoria =cordialità….(le gestione famigliare che porta alla fidelizzazione del cliente)
    Trattoria = cucina tradizionale, prodotti casalinghi…..
    Trattoria = prezzo medio (30/35 euro)

    Cosa pensi invece dell’esperienza di Davide Oldani e del suo D’O, dove cerca di far coincidere tutti i requisiti di cui parlavi prima, aggiungendo anche il “genio”?

    ciao….spero di risentirti altrove

  5. antonio canu scrive:

    Caro Marcello, grazie per la visita e per il post. Oltre che per il come eravamo che ha travolto anche me quando ho scartabellato tra i vecchi Taribari di carta per ripescare l’articolo su Montalban per la rubrica “Taribari millesimato”. Hai colto perfettamente, anche perche’ era parte del progetto che portammo per un po’ avanti insieme, che il godimento del cibo, del vino e del tempo liberato di cui proponiamo una lettura e una fruizione è insieme gesto estetico/edonistico e, mapperò, anche politico. La trattoria di mastro Piero, il ripescato articolo sul libro di Montalban e tutte le altre briciole del compagno Pollicino sparse nel sito questo dicono e questo fanno. Se vorrai spargerne anche tu, come ai vecchi tempi, lo sai, sarai il benvenuto!

  6. piero scrive:

    Ciao Zorro, è un onore ospitarti nella nostra casetta virtuale. Se ogni tanto ci metti il naso ti sarai accorto che siamo gente alla buona, innamorata di quei piccoli godimenti materiali che ti fanno vivere la vita con un po’ meno di fatica. Io e tu eravamo abituati a incontrarci in altri spazi che per me sono, al momento, di difficile frequentazione; perciò ti prego di considerarti a casa tua anche con contributi scritti sulle buone cose della tua terra (emilia per chi legge!). Data la tua impressionante mole di foto di Vinicio, te ne chiederemo qualcuna per una prossima “Canzone Ubriaca” su quello scoppiato dell’amico nostro! (Antonio Canu!!! dobbiamo scannerizzare quella bella foto in b/n io, tu e Capossela nella vecchia Antica Hostaria!!!)
    Per quanto riguarda le tue equazioni sul concetto di trattoria le sposo nella loro totalità; l’esperienza di Davide Oldani fa ben sperare in una diffusione italiana del concetto di bistronomique del quale ci parlò a suo tempo Antonio…

  7. pibus scrive:

    Caro Piero, in riferimento a quanto ho scritto in risposta al pezzo dedicatomi dal canu, o meglio, dedicato a me, i Conjure ed uno Chateauneuf (giusto per non mettermi in compagnia tale da farmi fare “umbè di barra”), plaudo a quanto scritto da te poiuchè ritengo che la tavola, e per estensione i luoghi di ristorazione, siano (debbano essere) luoghi di cultura, che passa e si attiva nell’incontro. Parlare, insegna Buenaventura Durruti, fa nascere nuovi mondi. La trattoria, si, quella con le tovaglie a scacchi bianchi e rossi, la sogno, assieme ad una santa pasta e fagioli, che è così semplice da fare che, guardacaso, o nessuno la sa fare, o la fa male (come l’ heavy metal). La sogno con cose buone e semplici, concrete e che sappiano di vero, fuori dalle menate del “beh, si, sai, mi smandragoilo il bigolo nel mio locale proponendo cose particolari…”
    Ci spiegherebbero lorsignori che CxxO vuol dire “particolari”‘? Siamo concreti, suvvia, con prezzi autentici, che sappaino, coi cibi

  8. pibus scrive:

    di cultura e piacere della tavola, una seada (singolare e non “seadas” al plurale, come molti si ostinano a chiamarne una ed una soltanto) fatta come si deve, è meglio di ogni pippa mentale della cucinanuovaeterobiologicoproporzionalmacrobioticacontovagliainfiandraremix. Non so, aimè, in quanti lo abbiano capito.
    Allora, a lorsignori le stellette, a noi il desco!
    Ad majora, dunque, con immutata stima e fiducia in te, GIANBURRASCA DEL SALTIERE!
    (e scusando la lungaggine)

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