FICTION, PAILLETTES E COMA PROFONDO

27 marzo 2015  |  di Piero Careddu
FICTION, PAILLETTES E COMA PROFONDO.
(sparlare del Vinitaly senza esserci andato)
Qualunquismo e conformismo dilagano anche nel mondo del cibo e del vino, forse un po’ di più in quest’ultimo. Lo so che non è una notizia freschissima nè sensazionale. L’entusiasmo che suscitano i baracconi-fiera tutto lustrini e sorrisi luccicanti, tipo Vinitaly e sottoprodotti locali, non si spiega altrimenti. Ci siamo passati tutti per quell’euforia ma basta da subito guardarsi attorno e girare tra gli stand per aprire gli occhi in tempi più che rapidi.  E tu prova a farlo capire, agli squadroni allineati e coperti degli addetti ai lavori, che si tratta di una grande fiction, dove tutto è pianificato e prestabilito in un grande copione, a partire dagli assaggi pilotati fino alle malinconiche riserve indiane dei produttori naturali  che si sono arresi alla tentazione del teatrino. D’altronde il sistema, tutt’altro che sprovveduto,  ha fiutato da tempo l’aria dei vini “diversi” che iniziano ad avere un loro mercato. E allora perché negare anche a questi ribelli, molti di loro sempre meno ribelli, qualche comparsata nella commedia del vino italiano che conta ancora tanto nel mondo? L’importante che si integrino nella sceneggiatura e non facciano troppo rumore. E poi prova a spiegarlo agli appassionati visitatori che la fiction inizia ancor prima e cioè a partire da quelle vigne che dovrebbero regalarci vini che raccontano storie e magie di luoghi e invece ci parlano solo di riunioni tra imprenditori con occhi rossi e canini affilati e i loro enologi, per elaborare nuove strategie e studiare le ultime tendenze del mercato. Il profitto prima di tutto: non importa se il mio vino è uguale o quasi a milioni di altri.   E se ci riesci prova tu a fargli entrare in testa l’idea che la stragrande maggioranza di quello che bevono, e sul quale pontificano roteando bicchieri con un sussiego che quasi fa tenerezza, è avvelenato da decine e decine di “aiutini” autorizzati da leggi criminali. Enzimi, coadiuvanti azotati, metabisolfito, lieviti selezionati in laboratori di multinazionali, vitamine, acido ascorbico, tannini enologici, gomma arabica, segatura di legno chiamata elegantemente chips, bentonite, nutrienti azotati, batteri lattici sono solo una piccola parte di quello che beviamo in una grossa parte dei vini cosiddetti convenzionali. E’ vero che la legge consente ma a noi non è dato sapere, poichè in etichetta non è obbligatorio dichiarare tutti gli ingredienti. E’ vero che naturale non sempre è sinonimo di bontà e gradevolezza e che chiunque di noi deve avere la possibilità di scegliere tra la grande massa dei vini omologati e quelli che non ricorrono agli illusionismi enologici. Ma questa possibilità è negata dal grande inganno dell’ignoranza pilotata dal potere e dagli interessi delle grandi holdings che hanno in mano l’agricoltura mondiale. Quella sconfinata distesa che è il vigneto mondiale con i suoi filari perfettamente allineati, con le sue perfette geometrie di allevamento, con le sue foglie lisce e grandi dal colore verde pisello,  con gli spazi tra i filari chirurgicamente lindi e senza traccia di una foglia, ebbene quel vigneto del mondo poggia, nella maggior parte dei casi, su una terra morta, senza traccia di humus, senza traccia di ecosistema e tenuto in vita da quel polmone artificiale che è la chimica di sintesi. In pochi ci raccontano queste cose e gli stessi produttori coraggiosi che provano a fare qualcosa di sano e diverso, dovrebbero prendere posizioni più rigorose e intransigenti a partire dalla controinformazione. Leggo dichiarazioni di fuoco di ambientalisti da prima linea che lanciano anatemi contro le emissioni e l’industria chimica: giustissimo! Ma molti di loro tornano a casa e bevono vini  supertrattati nonostante la griffe e il costo elevato, perché ancora c’è troppa ignoranza intorno a questo argomento e in pochi sanno che il vino “modernizzato” è uno dei simboli nascosti del disastro ambientale e chi non si schiera è complice come tutti gli struzzi in giacca e cravatta che nascondono la testa sottoterra. E  basterebbe solo, per ora, smetterla di bestemmiare usando a sproposito la parola terra e territorio. Detto questo continuiamo pure a infilare i nostri nasi nel bicchiere e facciamolo roteare con occhi da trance e solennità sacerdotale convincendoci che tutto va bene.

2 Commenti a “FICTION, PAILLETTES E COMA PROFONDO”

  1. marilena scrive:

    piero ottimo spunto per pensare ad una scuola di viticoltura ed enologia…come definirla…olistica? rispettosa dell’intero e non solo del portafoglio. Amo le utopie, ajio io rispondo presente

  2. piero scrive:

    magariiiiiiii!!!!

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