XLIX Superbowl: spot Budweiser ridicolizza il mondo delle birre artigianali

7 febbraio 2015  |  di Fabio Piredda

Spot Budweiser XLIX Superbowl

E’ fin troppo banale e scontato definire il mondo della birra come un pianeta spaccato di netto in due emisferi: quello industriale e quello artigianale. Ed è altrettanto chiaro che questo tipo di concetto può essere attribuito a qualsiasi prodotto in qualsiasi contesto, ovviamente non solo alimentare. Ma il caso della birra, in questo, è del tutto speciale. Perché, in particolare in Europa, la costante e inesorabile crescita del mercato delle cosiddette “craft beer”, non ha minimamente intaccato negli anni il ruolino di marcia del peroncino da discount, che continua ad andare alla stessa velocità di sempre (cioè fortissimo) e ad avere un suo mercato ben definito e fidelizzato. Inoltre gli elevati costi di produzione, l’insensata pressione fiscale e gli aumenti dei costi di trasporto (decisamente difficili da abbattere quando si spostano pedane anziché bilici), non fanno altro che acuire le differenze di prezzo e di fruibilità. Tutto ciò viene clamorosamente a decadere negli U.S.A., in cui, quella che sta esplodendo da 20 anni a questa parte, è una vera e propria rivoluzione del mercato della birra che sta creando all’industria dei serissimi problemi. Quando colossi come “Anheuser Busch”, detentore, fra i tanti, dei marchi “Budweiser” e “Corona”, nonché primissimo colosso multinazionale birraio a mondo, decide di sfruttare uno degli eventi dell’anno più attesi in assoluto nel mondo a stelle e strisce, ovvero il XLIX Superbowl, per lanciare uno spot da mandare in onda nelle pause di gioco in cui si ridicolizza il mondo delle craft beer, allora è chiaro che il sale sulla ferita comincia a dolere e non poco. Se a questo aggiungiamo che il Superbowl è l’evento i cui spazi pubblicitari hanno il prezzo di acquisto più oneroso rispetto a qualsiasi altra cosa trasmessa in televisione in U.S.A., e che quindi la multinazionale in questione ha fatto un investimento enorme nel tentativo di far passare il messaggio che la birra Budweiser non è certo una bevanda per “degustatori nerd”, è chiaro che il mio sadico gusto per la sofferenza del mondo industriale è solleticato a livelli inesplorati. Nel 2008 la “Anheuser Busch” ha dato vita alla fusione con la multinazionale belga INBEV (Stella Artois, Leffe, Tennents, Labatt, Beck’s…). L’operazione ha portato dei benefici enormi al gruppo ma non è arrivata per caso. Dalla metà degli anni ’90 infatti, la crescente apertura di birrifici di grande qualità ha riempito il mercato statunitense di una quantità e una variegatura di etichette davvero impressionante, con una inevitabile tendenza anche del settore dei pubs a voltare pagina e giocare la carta della qualità da proporre ai loro clienti. E’ chiaro che tutto ciò ha determinato nel corso degli anni una crescita esponenziale dell’utenza di questo nuovo mercato e ha pian piano impedito a gruppi come “Anheuser Busch” di registrare i consueti aumenti vertiginosi di fatturato che prima dell’ondata delle craft beer salivano impetuosi di anno in anno. Insomma, quello dell’unione con INBEV è apparso ai più un tentativo di tamponare una flessione piuttosto che un libero investimento mirato alla crescita. Il filmato incriminato, di cui per la verità in Italia si parla pochissimo, ha scosso non poco tutto l’ambiente brassicolo. La beer firm danese “Mikkeller” è quella che ha manifestato la più forte indignazione, rispondendo in maniera sintetica e per nulla diplomatica con questa immagine creata dallo stesso illustratore che cura le etichette aziendali:

Fra le reazioni più significative cito quella del birrificio “Firestone Walker” di Paso Robles, California, il quale ha optato per una risposta molto più diplomatica ma parimente risentita, rivoltando il senso negativo attribuito alle birre artigianali e accentuando la sua nobiltà d’essere rispetto alla trascurabile natura dei prodotti scientificamente studiati per il consumismo di massa. Ad ogni buon conto, secondo la mia opinione, quella lanciata da Anheuser Busch con la sua pubblicità non deve in alcun modo essere recepita dal mondo degli appassionati della Birra con la “B” maiuscola come una delegittimazione offensiva o come un volgare e scorretto affondo contro la concorrenza. Al contrario, già solo il fatto che si sia verificata prova incontestabilmente che negli U.S.A. artigianato e industria, nella birra, sono concorrenti, e che il primo, Davide, è arrivato a insidiare il secondo, Golia. E’ un prezioso riconoscimento della forza d’urto che per una volta nel Nuovo Continente il “buono” sta riuscendo ad avere sul “tanto e dozzinale”. L’industria trema, esce allo scoperto, e si comporta come un cane che abbaia per non far vedere che ha paura.

Non è fantastico?

2 Commenti a “XLIX Superbowl: spot Budweiser ridicolizza il mondo delle birre artigianali”

  1. Birrador scrive:

    Non è fantastico…è molto di più…e come tutti i vincenti dobbiamo guardare in silenzio il nemico che affonda…la stessa situazione non tarderà ad arrivare in Italia

  2. Fabio Piredda scrive:

    si, è vero, è una bella cosa. E’ una sorta di attestato di importanza. Con in più la soddisfazione che, a darlo, sia stato proprio quello che tu definisci “il nemico”. Speriamo che anche in Europa, e più precisamente in Italia, si possa raggiungere un risultato di questo tipo. Tasse permettendo.

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