RISTORANTE JOIA: IL PURO GODIMENTO DELLA CUCINA VEGETARIANA

27 novembre 2014  |  di Antonio Canu

L’ambiente non è elegantissimo, ma semplice e accogliente. Niente minimal chic da grande ristorante che sinceramente ci ha rotto i coglioni. Vieni accolto col sorriso e ti senti a casa.
Ti siedi, apri il menù e leggi: <<Tutti i nostri ingredienti sono di origine biologica, biodinamica o da orti sinergici, una scelta di gusto, per la salvaguardia del caro pianeta e per la protezione del nostro paesaggio interiore. Tutti i nostri piatti sono preparati senza uova, molti senza frumento e senza latticini. Ciò non è a discapito del gusto ma per una maggiore leggerezza ed equilibrio del piatto. È altrettanto importante che il cibo sia buono quanto che ci faccia sentire bene dopo averlo mangiato>>. E in coda al menù l’elenco dei pochi, scelti fornitori del ristorante: aziende agricole, produttori, artigiani del cibo tutti vicini, amici della natura, rispettosi della vita e di chi si ciba con i loro frutti. Forniscono riso, patate, verdure e frutta, latte, panna, formaggi tutti a caglio vegetale, grano saraceno.

Questo è Joia, ristorante di alta cucina naturale dello chef e parton  Pietro Leeman. Cuoco coltissimo e di alta spiritualità, Pietro è un vero e proprio filosofo antroposofico che si esprime col cibo, un mistico orientale che con i suoi piatti ha lo scopo di entrare in relazione con se stesso, con gli altri, con il mondo fenomenico. Ogni suo piatto è un messaggio di piacere, salute, godimento, rispetto e felicità lanciato a chi lo mangia. Pietro ha alle spalle un lungo apprendistato in ristoranti e hotel in Italia e all’estero. Nei primi anni ’80 sta nelle brigate di cucina prima di Girardet e poi di Gualtiero Marchesi. Nel 1986 e 1987 passa due anni in Oriente: prima un anno in Cina a studiare lingua, cultura e cucina e poi in Giappone ad imparare e ad insegnare. A fine anni ’80 è ancora con Gualtiero Marchesi, in un rapporto che si fa di paritetica affinità.

E poi nasce Joia, un istorante che sta da 25 anni a Milano in via Panfilo Castaldi, ma andarci a mangiare è una botta che ti porta in un’altra dimensione. Primo ed unico ristorante vegetariano in Europa stellato Michelin (dal 1996) regala una esperienza gastronomica di tale intensità che ci si dimentica in fretta dell’avversione verso stelle e fregi simili. Merito di una tecnica superba, che consente una elaborazione complessa dei piatti che mai va a discapito del rispetto delle materie prime di grandissima qualità; di una voglia di sperimentare, scoprire e giocare con i piatti (seppur preparandoli in modo rigoroso) che pare infinita tanto che a distanza di quattro anni dalla nostra precedente visita  scopriremo a fine cena che la qualità, la meraviglia e la soddisfazione saranno ancor maggiori della volta precedente pur in assenza dell’effetto sorpresa; e merito anche di una brigata di cucina (12 cuochi per poco più di 50 coperti) giovane, motivata, preparatissima e partecipe.

Appena seduti a tavola arrivano due piccoli, preziosi regali dello chef per accompagnare l’aperitivo: un paninetto caldo nero e speziato accompagna una vaschetta di guacamole reinterpretato e a seguire un amuse bouche che ne vorresti una pentola tanto è buono. Poi, tra i tre proposti, lasciamo da parte il maxi e lo small e scegliamo il menù degustazione intermedio. Si chiama “Enfasi della Natura” e si propone di comporre con ognuna delle otto portate le idee che meglio rappresentano la stagione autunnale. I nomi dei piatti sono poetici ed evocativi, spesso ironici e giocosi.

Dalla preziosa carta dei vini ricchissima di vini naturali, biologici e biodinamici, scegliamo il Trebbiano d’Abruzzo 2010 di Emidio Pepe. Proseguiremo poi con un’autentica rivelazione, uno dei migliori vini bianchi mai assaggiati da me e dai miei commensali: Mas De Dumas Gaussac Blanc 2008, vino naturale bianco della Languedoc che a sei anni dalla vendemmia sfoggia una complessità da sogno ed una mineralità ancora viva.

E si parte. Subito, senza ritegno né risparmio, uno dei piatti migliori dell’intera cena “Cantiam la montanara”: scrigno di topinambur, porri e tartufo, gentilmente cotti al forno, pesto di lenticchie e spuma soffice di sedano di montagna e noce moscata. Un gioco, che si ripeterà spesso durante la cena, di consistenze e temperature, di colori e forme, di gusti perfettamente integrati ma sempre riconoscibili. Magia pura che si attenua solo un poco con il pur stimolante “Oh mio caro pianeta”, versione vegetariana del foie gras e cioè una terrina di verdure e una fetta mela grigliata con chutney di cotogne sotto una cupola croccante di verza. Dal settore zuppe del menù arriva “Omaggio a Gualtiero Marchesi”: un passato di crauti bianchi e ortiche, pastinaca, pesto di nocciole e spuma soffice di tartufo di Norcia e poi il “Paesaggio interiore”, un brodo all’orientale nel quale si immergono dobloni di grano saraceno, verdure arrostite, funghi shitakè e dadini di zenzero. Due momenti di straordinaria armonia di sapori e consistenze che ci preparano al piatto principale e forse più interessante e coinvolgente “Sotto una coltre colorata”: un manto spumoso e impalpabile copre tanti piccoli pezzi che mangi senza vederli, amplificando la sensazione della percezione dei gusti tutti riconoscibili e diversi a seconda del punto del piatto dove immergi il cucchiaio e allo stesso tempo una sensazione inedita e appagante che nasce dalla fusione/comunione dei vari gusti e sapori: un pesto di topinambur e erbe, la verza e l’uva sultanina, la salsa di morelle e i cubetti di ricotta delicatamente affumicata, la salvia croccante, il melograno e chissà che altro. Dice Leeman di questo piatto: “rappresenta un bosco in questa stagione, un bosco dove mi reco regolarmente e raccolgo le erbe e le idee per comporlo”.
L’assaggio di tre formaggi tutti a caglio naturale e personalmente stagionati dallo chef precede il delizioso gaufrè che fa da pre dessert. Non si sa quale scegliere tra i sei dolci proposti dalla carta dei dessert. Optiamo per “Amici si nasce o si diventa?”, variazione sul tema della crema catalana fatta con la ricotta di capra di Chiara Onida, accompagnata da un marzapane di mandorle, profumata con semi di anice verde e accompagnata da un gelato di arance delicatamente piccanti e per l’ormai classicissimo “Cinque minuti” una terrina di cioccolato e arancia, sablé di riso e pasticcera di carruba, riso soffiato e zenzero, stracciatella di frutto della passione e tartufo di cocco.

Al paradisiaco piacere di una cena superba, dopo aver tanto mangiato e bevuto (e per il bere forse anche per via del fatto che i vini erano tutti naturali) sopraggiunge il benessere, di cui ci accorgeremo solo nelle ore successive ed al mattino dopo, di sentirsi leggeri ed in salute. Dimostrazione che vini naturali e cucina vegetariana – e lo dice uno che vegetariano non è – non solo non hanno niente, al contrario dei luoghi comuni duri a morire nel nostro paese, di monastico e astinente, ma possono anzi essere un invito ad eccedere nei piaceri materiali e nella ricerca dell’appagamento. Con in più, nel caso della cucina del Joia, la sensazione di giustizia e di pace con se stessi.

Una cucina così è ovviamente tutt’altro che economica (anche a non considerare il prezzo del genio dello chef, pensate solo al rapporto numero cuochi/numero coperti e alla qualità delle piccole e piccolissime produzioni da cui vengono le materie prime) e dunque il patron ha deciso che in settimana Joia può essere a scelta dei clienti – e come dice lo stesso Pietro Leeman – “un bistro, il Joia Kitchen, dove si mangia un menu completo per 40 euro, a mezzogiorno c’è un piatto che propongo da 18 anni che costa 17 euro e un menu a 35. Questo perché desidero che il più persone possibile vengano ad assaggiare la mia cucina”.

Una cucina sublime, in continua evoluzione, divertente e stimolante. Un puro godimento per i sensi e la mente. Misticismo dell’anima che si fa immanenza nel puro godimento del corpo. Un’esperienza gastronomica che non si vede l’ora di ripetere.
(Ristorante visitato il giorno 1 novembre 2014)

1 Commento a “RISTORANTE JOIA: IL PURO GODIMENTO DELLA CUCINA VEGETARIANA”

  1. Fabio Piredda scrive:

    che dire, non puoi andare a Milano? Ecco che il grande Canu te la porta a casa. Una recensione stupenda, dettagliatissima e infinitamente invogliante. Complimenti davvero

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